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Mion, il minatore della salvezza del ’57

21 marzo 1930: nasce a Villaga, in provincia di Vicenza, una meteora atalantina che giocò appieno una sola stagione su tre verso la fine degli anni sessanta. Una vicenda tra pallone e miniera

Di minatore, nella storia dell’Atalanta, ce n’era stato già uno, fino a prova contraria. Severino Cominelli da Parre, interista con biglietto di andata e ritorno a cavallo della seconda guerra mondiale, dipendente della multinazionale belga Vieille Montaigne che possedeva miniere di blenda e calamina in Valle del Riso e dintorni. Fu al destino di quelle di carbone, invece, che la sfera di cuoio strappò negli Anni Cinquanta Alfonso Dante Mion. Nella patria di Marcinelle e della tragedia eponima, quando lui, nato nel Vicenza e passato da San Donà di Piave, emigrò in Belgio dove trovò un impiego extralavorativo nello Charleroi. 86 gol dal ’51 al ’56, cui ne avrebbe aggiunti 8 in una quarantina di presenze nerazzurre nel triennio 1956-1959, di cui 1 in Coppa Italia il 7 settembre ’58 a Biella (2-1) per passare il turno.

Ma l’emigrante del lavoro duro e del pallone, che abbandonato il Belpaese – ultima stazione, la Reggina – all’inizio del decennio successivo per chiudere nel Paese adottivo con le maglie di Charleroi, Auvelais, Union Saint-Gérard, Meux ed Hemptinne appendendo le scarpe al chiodo quarantaquattrenne, a Bergamo è più che altro noto per aver centrato l’ultima delle sue sei reti alla stagione d’esordio proprio nel match decisivo per salvarsi, il 16 giugno 1957 a Trieste: un’imbucata al minuto 53 che si aggiunse ai successi personali nei 2-2 con Lazio, Milan (in casa) e Inter nonché ai matchball contro Spal e Fiorentina. Dea e Roma a 31, Genoa 30, giù gli Alabardati (29) e il Palermo (22).

I primi due indovinati da numero 7, gli altri da 9. Nel ruolo di centrattacco dovette riciclarsi lui, stante la pochezza del titolare nominale Nelson Cancela, uruguaiano che gonfiò la rete soltanto una volta, e l’acerbità di Gian Carlo Magnavacca. A destra, al contrario, già scalpitavano Ennio Lenuzza, Arturo Gentili e soprattutto Marino Perani, classici enfants-du-pays (il primo era un profugo istriano), l’ultimo dei quali gli prese il posto nel giro di corsa susseguente (a segno solo col Padova) per essere poi venduto a peso d’oro al Bologna. A sinistra, Angelo Longoni; mezze ali, Carlo Annovazzi, Pierluigi Ronzon, il bomber Adriano “Nane” Bassetto, vicentino come lui, gloria anche della Samp, Raoul Conti e Sergio Pensotti.

E in mezzo ormai c’era Gianni Zavaglio, 13 gol nel 1958/59 della risalita dalla serie cadetta. Fine della parentesi orobica, sotto Karl Adamek, austriaco che aveva già rilevato nell’annata della retrocessione per il Caso Azzini (la presunta combine per vincere a Padova) Giuseppe Bonomi e Carlo Rigotti, a sua volta sostituto di Luigi Bonizzoni. Tanto basta per ricordare Mion, il vicentino nato il 21 marzo del 1930 a Villaga che seguì in Vallonia moltissimi italiani desiderosi di lavorare per campare, figura ancipite di minatore con la palla al piede.

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