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Il fuorigioco – La notte (insonne) di Gasp che porta consiglio

Ce lo immaginiamo nella sua stanza a girarsi e rigirarsi nel letto dopo aver visto chissà quante volte la partita, nella mente o in tv. Senza prendere sonno, in quelle notti in cui sai quale è il motivo per cui si innescano mille pensieri che hanno l’effetto di un caffè triplo, ma non sai afferrare quali siano davvero i pensieri che hai in testa. Sai che non sono positivi e questo basta, forse avanza. Mister Gasperini nella notte di domenica ce lo immaginiamo così, dopo un viaggio di rientro da Udine riflessivo, guardando fuori dal finestrino in cerca di qualche spiegazione ad un ko a cui lui ha dato un peso enorme, che va al di là della sconfitta e degli zero punti in saccoccia. Non ce lo immaginiamo arrabbiato, furioso, contrariato, ma dispiaciuto come ha ammesso di essere.

E un po’ come accade in amore, quell’amore che lui ha per la sua squadra e per i suoi ragazzi, i problemi nascono quando si è dispiaciuti – anche un pizzico delusi magari – non quando si è arrabbiati. Perché la rabbia poi svanisce, passa con una discussione, una litigata, un rimboccarsi le maniche. Una delusione è qualcosa di più intimo, di più profondo, di più difficilmente risolvibile. Gasp era dispiaciuto perché, a detta sua, i ragazzi non mettono lo stesso cuore della Coppa anche in campionato e a lui dispiace perché sa quanto si possa fare bene, ma soprattutto vorrebbe dire una volta di più ai suoi ragazzi quanto si meritino un campionato da prime 5-6 e di quanto sia possibile farlo, come l’anno scorso.

A lui dispiace il 2-1 di Udine perché sa che è una questione di testa e chiunque abbia visto l’Atalanta fino a qui non può negare che ogni punto perso sia stato per colpa di qualche leggerezza di troppo, per un attimo di tensione calata in più. Anche per un pizzico di sfortuna. Ma le gambe girano a mille, gli schemi sono più che mai consolidati e se ne sono introdotti di nuovi, i giocatori arrivati sono diventati subito ingranaggi oliati di una bella macchina ammirata da tutti. Anche i punti non sono poi così pochi, 3 in meno dell’anno scorso. Eppure questa sconfitta, messa insieme con quella di Genova ad esempio, ma anche con l’esordio in casa con la Roma, ha un sapore diverso. Perché tutti quelli che hanno fatto un po’ di sport e un po’ di calcio sanno quanto sia difficile entrare nella testa dei giocatori in certi momenti per far scattare quel clic decisivo. Devi toccare le corde giuste, consapevole che se tocchi quelle sbagliate la situazione può crollare in un equilibrio precario e instabile che meriterebbe un approfondimento psicoterapeutico. Forse questa è la situazione che gli allenatori temono di più, ma sono anche le situazioni dove devono emergere le vere qualità di un allenatore e non c’è formula magica che tenga.

E allora ce lo immaginiamo così Gasp, che si arrovella per cercare di capire quali siano le corde giuste da toccare. Il lavoro sul campo non basta più, la preparazione atletica va per la sua strada, che è una strada redditizia. Le formazioni da schierare ormai l’ha capito quali sono e ha anche capito che la rosa è competitiva. Ma la testa… la testa non la puoi aprire. Ce lo immaginiamo nella sua stanza che – leggende narrano – sia tappezzata in ogni centimetro quadrato con post-it sui quali appunta le sue idee di calcio che si fanno largo tra una serie di schermi dove analizza, in ognuno, le azioni della sua squadra, reparto per reparto. Lo vediamo scrutare gli schermi e scrivere, scrivere e scrutare, ma anche sbuffare perché sa che il problema non è lì. E allora si gira e rigira nel suo letto nella notte post-Udine.

Vorremmo che si addormentasse e dormisse sonni tranquilli per preparare al meglio la partita di Coppa, vorremmo entrare nei suoi sogni e ricordargli di quando, dopo il 7-1 contro l’Inter dell’anno passato, ha riunito i suoi ragazzi nello spogliatoio. Le solite leggende dicono che non abbia imposto nulla, ma proposto lasciando proprio a loro la scelta: campionato di vertice o campionato mediocre. I suoi ragazzi hanno acceso la prima opzione dando a maggio la loro risposta definitiva che tutti conosciamo. Immaginiamo lui che si sveglia dopo questo sogno e dedichi un’ora del ritiro ad una soluzione simile. Immaginiamo che i suoi ragazzi sceglieranno ancora quella risposta. Ci addormenteremmo tutti più sereni ed equilibrati. In fondo resta una bella partenza, in fondo ormai li conosciamo, in fondo abbiamo conosciuto le abilità del mister. Criticare questa squadra vuol dire essersi montati la testa. Non è da bergamaschi, non è da Atalanta.

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