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Gasperini e Genesio, una guerra di numeri

494 partite contro 252, un record di 206-120-168 contro 94-66-92, 9 anni alla guida delle giovanili (Juve) contro un paio in sella all’Arbresle (paese natale del suo presidente Aulas) più un altro alla squadra riserve, 14 anni contro 5 come primo responsabile tecnico. Gian Piero Gasperini, se le nude cifre contano ancora qualcosa, può permettersi di guardare Bruno Genesio dall’alto in basso. E pazienza se al collega dell’Olympique Lione è bastato l’ultimo biennio per surclassarlo in termini di panchine e prestigio nelle coppe europee: 2 vittorie, 2 pari e 2 ko nel girone di Champions chiuso al terzo posto dietro i bianconeri del cuore del Gasp e il Siviglia; in Europa League 6 con 1 nullo (l’1-1 di Nicosia con l’Apollon Limassol) e 2 sconfitte, con la Roma all’andata degli ottavi di finale nella passata edizione poi ribaltati nel 4-2 casalingo e, purtroppo per lui, nella semifinale numero 1 ad Amsterdam con l’Ajax del doppiettista Bertrand Traoré ancora nelle vesti di nemico (4-1).

Il Profeta di Grugliasco, comunque, a dispetto del flop nell’unico match di Champions (Inter-Trebisonda 0-1, 14 settembre 2011), in EL ha assommato numeri tutt’altro che disprezzabili. Compreso l’incipit del trofeo in questo scorcio di stagione, ovvero il roboante tris sul gobbone dell’Everton, fanno 4 bottini pieni con 2 pareggi e 3 sconfitte. L’ultima, la più cocente, quella patita in extremis a “Marassi” dal Valencia, durante il primo ciclo genoano: dopo un botta e risposta di testa Bruno-Crespo, la zampata di David Villa vale l’estromissione all’ultima giornata in un girone di fuoco dove il Grifone era approdato vincendo il playoff con l’Odense e aveva dovuto vedersela anche con Lilla e Slavia Praga. Se il 17 dicembre 2009 è la data infausta da soffittare nell’archivio dei ricordi agrodolci per l’uomo in sella nerazzurro, figuriamoci il 3 maggio per il il lionese purosangue, si fa per dire ovviamente viste le chiari origini italiane, tuttora alla ricerca del riscatto da un settimo posto in Ligue 1 che grida vendetta con quel talento a disposizione.

È pur vero che al buon Bruno, una sorta di bandiera che sventolava bassa a centrocampo nell’OL che riuscì a risalire la cadetteria francese solo nel 1989, a questo giro di calciomercato hanno voluto scippare per soddisfare le ragioni della cassa gente come Lacazette, Tolisso, Valbuena e Gonalons, per dire i calibri più grossi, privandolo praticamente della spina dorsale della squadra. Che ora come ora deve puntare sulle giovani promesse pescate in giro per l’Europa, al netto di elementi tecnicamente raffinati e caratterialmente sanguigni come Nabil Fekir, l’enfant-du-pays del caso.

Una dinastia non l’ha a tutt’oggi imposta, nel capoluogo del Rodano, colui che per anni s’era dibattuto sotto la volta di plexiglass del calcio semipro (Villefranche 1999-2001 e Besançon 2005-2006 in National 2, dopo quattro anni da secondo di Stephane Paille, bomber della Francia campione d’Europa Under 21 nel 1988) o come vice di qualcun altro: allo Stade de Gerland, abbandonato per il Groupama Stadium, dal 2011 al 2013 il capo era stato il suo ex compagno di spogliatoio Remi Garde, il conquistatore degli ultimi due trofei in bacheca (Coppa di Francia 2012 e una Supercoppa di Francia 2013), quindi Hubert Fournier cui il nostro avrebbe fatto le scarpe strappandogli lo scettro alla vigilia di Natale 2015. In dote, un secondo e un quarto posto che pur non facendo saltare sulla sedia nessuno, specie per una fase difensiva un po’ allegra e leggera, hanno portato in saccoccia parecchi soldini da reinvestire. Eccola qui, l’analogia con l’uomo canuto che stasera siederà sulla panca nemica.

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