Il siluro del tecnico alla società ha precedenti mirati e a orologeria: ne ha sempre lanciati, fin dal suo arrivo. Ma la proprietà può privarsi di lui a cuor leggero?

I mass media come cassa di risonanza di malumori e avvertimenti a nuora perché suocera intenda. Il vero sport nazionale non è il calcio, ma la scoperta dell’acqua calda. Bergamo non fa differenza. Ci si scandalizza perché Gian Piero Gasperini, manifestando la propria presunta irriconoscenza nei confronti di una dirigenza che gli ha regalato Pasalic e Zapata, ha osato definire triste ed esiguo il calciomercato dell’Atalanta.

LE MANI AVANTI. Come ogni timoniere convinto di non dover compiere i passi del gambero dopo aver allargato gli orizzonti delle rotte, il profeta nerazzurro fiuta l’aria e mette le mani avanti. Parte della lista della spesa non s’è materializzata in dispensa. La società sa cosa serve al suo dipendente numero 1 per dormire sonni tranquilli. Tipo un esterno e un centrocampista, reclamati fin dallo start del ritiro, e adesso un difensore di livello, visto che Varnier gira in stampelle e oltre il millennial Bettella c’è solo un ex parcheggio da B e da A bassa come Djimsiti.

BOMBE A OROLOGERIA. Il Gasp va al cuore della questione da sempre. A costo di far buttare sangue dopo ogni stilettata, perché “tra professionisti nessuno ti rimbocca le coperte”. Al suo primo Trofeo Bortolotti avvertì Sportiello che se pensava di andare al Napoli a scaldare i guantoni a Reina allora non era pronto per fare il titolare qui. Dopo il ko col Palermo, alle soglie dell’esonero, stampa rinfacciata di averlo accusato di confusione tattica. Ne ha per tutti, come chiunque creda nel lavoro e nelle idee. Prima del match della svolta col Napoli, front office convocato per annunciare l’esordio di Caldara, fin lì un prestito cadetto in pectore, al centro della difesa, chiarendo di voler puntare sui Gagliardini e sui Petagna. Aggiungiamoci, non bastassero le due qualificazioni europee di fila, l’esplosione anche di Conti e Kessie, più Cristante che sarebbe dovuto essere un innesto-meteora: quello sulle plusvalenze è il classico conto della serva.

SCRICCHIOLII DECEMBRINI. Quanto all’ansia da prestazione e da risultati, nessuno va a nozze coi fichi secchi. Oddio, nell’Atalanta al netto dei mejo der bigoncio reclamati dal mister ce ne sono già di succosi. Ma preoccuparsi di mantenersi lassù, a fronte delle pingui campagne acquisti altrui (le milanesi, il Torino, la Samp), è legittimo. Le grida d’allarme risalgono allo scorso dicembre. Interviste a fiume per lamentarsi della rosa larga tanto da dover scontentare qualcuno, dei troppi stranieri contro il nuovo corso atalantino dei baby fatti in casa, del pacco di imberbi – pescati nel Belpaese e fuori – che non servivano. Apriti cielo. Fine di Orsolini, via a gennaio come Vido. Haas è a Palermo, Schmidt in Portogallo. Non erano proprio uscite a muzzo.

PRENDERE O LASCIARE. A un piemontese non falso né cortese è impossibile raddrizzare il carattere. L’aurea della provinciale che può respirare l’aria rarefatta delle big è merito suo. O lo si tiene stretto, o ci si rivolge a un aziendalista obbediente da compitino. Orma è storia la petizione per erigergli una statua alla Rotonda dei Mille al posto di quella di Garibaldi. Il vero Generale è lui: ha alimentato l’appetito dopo brodetti a ettolitri, ha inoculato il virus contagioso della qualità e delle ambizioni. Sono due rivoluzioni terresti che il tipetto sbotta, anche se stavolta i suoi soffiati erano bisbigliatissimi, una giaculatoria nel rito del confiteor prepartita. Un benservito dei Percassi non è all’ordine del giorno. Dopo aver fatto cassa con le genialate del sessantenne sopra le righe, tanto da innervare il progetto sullo stadio “da Europa”, mettendoci faccia e milionate? Chi ci crede è bravo. Oppure un inguaribile ingenuo.